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Cerchiamo di capire la primavera turca

Istanbul – Cosa succede qui a Istanbul e in Turchia? Facciamo attenzione alla superficialità mediatica, e cerchiamo di capire quello che sta accadendo.

 

La protesta ecologista per salvare un parco nel cuore europeo della città – a ridosso di piazza Taksim – da un oscuro e indefinito progetto di riqualificazione urbana si è trasformata, a causa di uno sgombero affrettato e inflessibile da parte della polizia, in manifestazioni contro il governo che hanno coinvolto decine di migliaia di persone: non solo nella città sul Bosforo ma anche in molte altre città (come Izmir e Ankara), a eccezione dei feudi elettorali del Partito della giustizia e dello sviluppo del primo ministro Erdoğan. Un’esplosione di collera forse inattesa per un paese in forte crescita economica e impegnato – oltre che nella riscrittura della propria costituzione in senso democratico e liberale, per sostituire quella autocratica del 1982 – in un processo di pacificazione con la minoranza curda, pesantemente discriminata fin dagli albori della repubblica 90 anni fa: ma i segni del malcontento erano presenti e di facile lettura.

In sostanza, le proteste di piazza Taksim sono nate dalla saldatura di tre diverse sensibilità. In primo luogo quella “verde”, originaria e minoritaria, che si oppone ai sempre più numerosi progetti di cementificazione: ma tra costoro c’è anche chi dice no per principio anche alle infrastrutture – ponti, metropolitane, aeroporti – invece indispensabili; in secondo luogo quella più diffusa e comunque spontanea di chi vorrebbe l’emergere di una democrazia autenticamente avanzata e maggiormente partecipata: e che mal sopporta lo stile abrasivo di Erdoğan; infine quella prevalente e tutta ideologica delle forze politiche di orientamento kemalista e nazionalista, umiliate da una serie di misure – consumo di alcol, educazione religiosa e velo a scuola, simboli politici – contrarie ai principi costitutivi del precedente regime, che consapevoli di non poter diventare in tempi brevi maggioranza attraverso le urne cercano la spallata in piazza.

Le proteste hanno preso forme variopinte: cortei, caroselli di auto con bandiere nazionali (anche con l’effigie di Atatürk), attraversamento in massa e a piedi del ponte sul Bosforo, percussioni a ore prestabilite di pentole e coperchi da parte di chi è rimasto a casa, slogan per chiedere le dimissioni ai vertici politici; ma non sono mancati episodici atti di distruttivo vandalismo: automezzi pubblici e privati dati alle fiamme, barricate costruite con tutto ciò che capitava sottomano, attacchi contro la polizia e contro sedi del governo e dell’Akp. Piazza Taksim come piazza Tahir, dunque? La primavera araba che diventa turca? Assolutamente no! In realtà, la primavera turca esiste ma non da ieri: è il processo di graduale smantellamento – iniziato nel 2002 proprio dall’Akp di Erdoğan – delle strutture dello stato autoritario, per dar vita a una democrazia che si vorrebbe avanzata.

Il processo non si è però compiuto – anche per le resistenze delle forze d’ancien régime, che hanno dato vita a complotti golpisti – e la qualità della democrazia in Turchia è ancora poco elevata: il processo costituente si è infatti arenato e alcuni meccanismi autocratici sono ancora in piedi. Manca soprattutto la trasparenza, la volontà di informare tempestivamente i cittadini sui dettagli dei grandi progetti che vengono continuamente avviati e di attivare canali di feedback verso le istituzioni: il sindaco di Istanbul Kadir Topbaş lo ha riconosciuto esplicitamente, se la municipalità e il governo avessero reso partecipi i dimostranti e se la cittadinanza fosse stata consultata le proteste di piazza non sarebbero mai nate. Dal canto suo, il premier ha mostrato inflessibilità retorica e arroganza: ma dopo l’intervento del presidente Gül – per carattere e ruolo più conciliante – la polizia è stata ritirata almeno da piazza Taksim (gli scontri sono continuati in zone adiacenti e soprattutto a Izmir e nella capitale Ankara); anche il leader dell’opposizione ha deciso – dopo l’intervento presidenziale – di annullare la grande manifestazione di partito che era stata già annunciata per sabato scorso. L’intensità delle proteste va scemando, Erdoğan è partito per un viaggio in Algeria, Libia, Tunisia: ma se vorrà conservare il sostegno popolare per i suoi progetti di modernizzazione, rafforzare la democrazia è un passaggio prioritario e indispensabile.

di Giuseppe Mancini, dal blog  http://segnavi.blogspot.it

Scritto da Redazione

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