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Vi racconto la Tunisia, dai Gelsomini al post Ben Alì

Sono trascorsi poco più di due anni dai primi vagiti delle primavere arabe, ma di quegli slanci di libertà e di rottura, oggi si colgono flebili segnali. In Egitto la protesta monta ancora contro il governo, la Siria conta i danni (umani) di scontri e violenze. Mentre la Tunisia orfana di Ben Alì fatica ad imboccare la strada della legittimazione democratica. Ne abbiamo discusso con la scrittrice Ilaria Guidantoni, autrice di numerosi pamphlet sul tema, tra cui “Tunisi, taxi di sola andata” (No Reply) e “Tunisi: chiacchiere, datteri e thè” (Albeggi edizioni).

Gelsomini due anni dopo: è stata solo una bella illusione?

“La tentazione di trarre questa conclusione esiste ma è un atteggiamento semplicistico. Il popolo ha una certezza. Mai nulla sarà più come prima e questa consapevolezza mi pare una conquista importante. Sapere per esperienza diretta che qualsiasi colosso ha un suo tallone di Achille e può sbriciolarsi è una forza e uno strumento che oggi i tunisini sanno di possedere. Non saranno più sudditi ma cittadini, ancorché vessati. Forse l’illusione c’è stata a livello economico: il tessuto era stato minato da 23 anni di dittatura che ha promosso un’economia contraffatta, di apparente floridezza mentre oggi va ricostruito il sistema e per alcuni anni la situazione peggiorerà, complice anche il contesto internazionale di estrema debolezza. Se certi diritti della cosiddetta laicità oggi vanno difesi più di prima, vero è che ci sono spazi di apertura neppure ipotizzabili prima. Attenzione a non farsi ingannare dalla superficie: a chi dice che c’è il rischio, a mio parere lontano, della diffusione coatta del velo, rispondo che per anni c’è stato il divieto di indossarlo senza se né ma”.

 

Quali gli errori gestionali nel post Ben Alì?

“Più che di errori parlerei di incapacità. Da parte dei ‘rivoltosi’, del popolo in generale non abituato alla protesta c’è stata l’ingenuità di credere che costruire fosse come distruggere: l’unione e gli ideali comuni sono stati strumento di forza nel momento della pars destruens ma salendo al governo si concorre spesso per interessi configgenti; così come la rete è stato uno strumento che ha dato vigore alla protesta e certezze ma non è uno strumento di gestione. Anche l’idea, romantica e suggestiva – ammetto – di una rivolta spontanea senza leader –“tutti possiamo essere leader”, mi dicevano anche gli amici intellettuali – è alquanto improbabile per costruire una democrazia. Forse l’errore che ritengo effettivo è quello della ‘sinistra’ (che si autodefinisce tale pur senza una corrispondenza perfetta con il modello europeo, ammesso che ne esista uno unitario) che si è frammentata, accesa in rivalità e personalismi, perdendo sostanzialmente il contatto con la base elettorale, arroccata su posizioni spesso troppo intellettualistiche o eurocentriche, basti pensare al PDP di Chebbi. Il Partito di Governo, EnnahDa, invece purtroppo ha dimostrato quello che era prevedibile: l’inesperienza di chi non era mai stato al Governo o comunque nell’esercizio libero della politica; senza conoscenza radicata e aggiornata del proprio paese, visto che i leader erano quasi tutti in esilio. Inoltre il tema del lavoro, cavallo di battaglia della campagna elettorale ed argomento certamente vincente e pratico non è stato rispettato. Il discorso è stato spostato su questioni ideologiche, centrali, ma per la popolazione incomprensibili e irrilevanti, solo terreno di gioco di scontri intellettuali. La vera scommessa è l’associazionismo al femminile e quello sindacale dell’UGTT che spero non scivolino in questioni partitiche e intellettuali delle quali non c’è bisogno in questo momento”.

 

Il solito silenzio dell’Europa è ancora un deterrente?

“All’Italia, che pure ha capito cosa stesse accadendo con molto ritardo e non del tutto – si parla ancora di rivoluzione mentre è stata solo una rivolta, anche se compiuta – la ribellione tunisina è piaciuta perché è stata pacifica, indolore, rapida, giovane ma non si è fatto un lavoro di approfondimento se non tra addetti ai lavori e con iniziative lodevoli ma sporadiche, sia a livello politico, culturale e giornalistico, così come anche religioso. Solo che ad esempio di quest’ultimo profilo non si è comunicato nulla. In generale l’Europa è presa da un impaurimento generale senza fondamenta e soprattutto non si capisce come mai non tema mai la dittatura. Io che l’ho solo assaggiata, se ripenso a certi episodi, ritengo che attualmente la situazione sia decisamente migliore. La libertà di espressione almeno in termini di legge esiste, la censura è stata abolita e oggi si possono indire dibattiti pubblici e presentazioni di libri ad esempio, per mia diretta esperienza. Si corre qualche rischio ma si può fare; prima non era nemmeno pensabile. L’Europa aspetta di vedere come va a finire per investire o tornare a viaggiare in Tunisia, ma la Tunisia ha bisogno oggi di qualcuno che scommetta e costruisca insieme il futuro. Possibilmente non accendendo i riflettori solo per episodi clamorosi”.

 

Perché l’Italia continua ad ignorare le pulsioni mediterranee e si preoccupa solo di spread e umori berlinesi?

“Purtroppo l’Italia non ha memoria storica, non conosce le proprie potenzialità ed affinità che nel Mediterraneo, senza uscire dall’Europa, potrebbe esprimere al meglio e con un ruolo guida. Per questo occorre però impegno e un lavoro di programmazione e concertazione su ampia scala. Da sempre invece l’Italia, almeno dal Dopoguerra, ma nello stesso Ventennio, rincorre il mito del più forte accontentandosi di restare pedina, preda e strumento degli altri, pur di stare, anche se come ruota di scorta, sul carro del vincitore. Il tema del Mediterraneo nel nuovo assetto internazionale che vede gli Stati Uniti lontani e il Medioriente incandescente mentre l’Africa è colonizzata da Qatar e Cina, offre un assist fantastico alla nostra Penisola di ruolo di mediazione e cerniera. La Tunisia per la storia che ci lega e che quasi nessuno conosce sarebbe un laboratorio di eccellenza. Basta solo volerlo. Questo ponte sarebbe funzionale anche a bilanciare il ruolo tedesco che per storia ha oggi un ruolo predominante nell’affaire Turchia ad esempio. A livello politico, dove la miopia domina incontrastata, l’argomento Mediterraneo non viene considerato capace di drenare consenso. Si tratta di elaborare un nuovo modello o di recuperare quanto scritto in passato da Fernand Braudel e oggi teorizzato dallo scrittore Predrag Matvjevitch che ha espresso forti dubbi sull’opportunità dell’entrata in Europa della Croazia in termini di vantaggi per questo paese”.  

 

Femen,la Tunisia respinge accuse detenzione: solo propaganda?

“La faccenda è complessa e sul tema mi sto interessando per capire l’articolazione della complessità del femminismo o meglio della riflessione sul femminile della Tunisia dove si stanno confondendo pericolosamente alcuni piani. E’ indubbia una spinta di una frangia molto contenuta per riportare il modello della donna alla tradizione con un messaggio involutivo. E’ certamente un fenomeno che fa molto rumore, per nulla o quasi nulla. Le donne religiose in prima istanza in Tunisia difendono i diritti delle donne in nome dello stesso Corano nell’interpretazione sunnita malachita. Non lasciamoci conquistare – in Italia siamo facile preda del sensazionalismo – dalle proteste che inducono false idee. Quello che vorrei solo accennare è il fatto che alcuni comportamenti come denudarsi in luogo pubblico, scrivere con uno spray in un cimitero, che verrebbero censurati anche in Europa, vengono letti se accadono in paese arabi come i gesti di esasperazione di eroine. Alcune istanze sono certamente importanti, altre sono spettacolarizzazione e provocazione e non certo la premessa di una società democratica. Le donne – molte tunisine lo stanno facendo – è bene che si battano per l’abolizione delle cosiddette tre ‘riserve’ che ancora persistono: legittima sull’eredità, patria potestà condivisa e le cosiddette ‘quote rosa’. Oppure per maggiori garanzie sul lavoro. Il resto è appannaggio di chi in fondo se lo può permettere, spesso intellettuali che non so quanto stiano aiutando il cammino della donna in questa fase. So bene che questo mio pensiero può essere sgradevole e giudicato retrogrado ma sono convinta che l’emancipazione non si affermi con lo scontro.”

 

Che Tunisia hai conosciuto nei due differenti pamphlet che hai scritto?

“Una Tunisia dall’apparenza solare e dalle fondamenta marce, favorevole al clientelismo e alla promozione del lusso e di un’economia sbilanciata su commercio e terziario senza solidità; e ancora una società disinteressata al proprio paese con una cultura ingessata nel fine regno. Poi una Tunisia in subbuglio, viva e con la voglia di urlare ma anche disorientata, disabituata a scegliere, a gestire gli spazi di libertà, estranea al mondo dell’associazionismo, impaziente ma vitale. C’è stato un periodo di grande disordine, dagli scioperi, alla sindacalizzazione selvaggia che in parte sta rientrando nei binari; nello stesso tempo la cultura è esplosa anche se in modo disordinato e un po’ monotematico, dall’ingresso della satira che è stata una grande riscoperta. Il paese ha smesso di essere autoreferenziale e proiettato sugli stereotipi europei e statunitensi per riappropriarsi della propria identità mediterranea, riallacciando relazioni di vario livello con l’Africa e con il resto del mondo arabo, ad esempio. Ora è un momento delicato, di incertezza e attesa, perché la Costituzione non è ancora definita così come le elezioni per dar vita al primo Governo regolare. Certamente, sembra un luogo comune e romantico, le donne sono l’ossatura di questo paese, non solo quelle famose, basti pensare che il 60% del totale dei laureati è donna.”

 

Quali le responsabilità della politica post primavera?

“La costruzione ex novo di un Paese che dal tempo dei berberi in realtà non è mai stato libero e non si è mai autogestito, un paese che non ha memoria storica della propria autonomia e il cui modello politico è sempre altrui, dalla prima Costituzione democratica non scritta, con Cartagine; al diritto dello stato scisso da quello religioso, al tempo dei Romani; fino alla laicizzazione dello stato alla realizzazione di una moderna macchina amministrativa, con la Francia. Insomma è la prima volta che la Tunisia deve trovare al proprio interno risorse, idee e metodo. E’ una sfida enorme. Oggi alla politica si chiede soprattutto lavoro e coesione, mediazione tra istanze molto diverse, segnatamente laicità e religiosità, modernità e competitività sui mercati internazionali e rispetto se non recupero della tradizione, soprattutto non tradendo i valori della rivolta, dignità (lavoro), libertà (di espressione) e giustizia (separando nettamente il potere politico da quello giudiziario)”.

 

di Francesco De Palo  – twitter@FDepalo 

Scritto da Redazione

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