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The colourful buildings of Tirana - credits: Charles Roffey

Proteste in Albania, tra realtà e racconto dei media

di Albert Nikolla*

Ho seguito con attenzione il modo in cui la situazione in Albania è stata rappresentata dai mass-media italiani e, non senza stupore, ho osservato che diversi scritti mancano molto nel rappresentare fedelmente la realtà e le dinamiche particolari del nostro paese. Sicuramente negli ultimi mesi ci sono state delle manifestazioni degli studenti e recentemente una decisione irresponsabile dell’opposizione di abbandonare definitivamente il parlamento, ma da questo arrivare a paragonare l’Albania, già un paese candidato della UE, con la Siria non solo non è veritiero ma, al contrario, è molto fuorviante e malaugurante. Molto probabilmente l’Albania tra pochi mesi riceverà l’invito per i negoziati di adesione nell’UE e gli articoli pubblicati alcune testate italiane descrivono una situazione sull’orlo della guerra civile. 

Questi toni, peraltro, precludono al pubblico la possibilità di un confronto con le varie posizioni, senza buonismo ma con forte senso di responsabilità e volontà di approcciarsi realisticamente alla situazione. È stata soprattutto l’ultima decisone dell’opposizione di dimettersi in blocco a far diventare incandescente la situazione politica nel paese. Questa decisione rispecchia una mentalità totalitaria che è lungi dall’essere estinta dalla cultura politica nel nostro paese. Infatti, la nostra costituzione non prevede l’abbandono di massa del parlamento da parte di un partito, ma solo le dimissioni personali. Sono stati i partiti di opposizione ad imporre con molta fermezza e senza dibattito all’interno dei loro forum, la decisione di “bruciare” il mandato; i deputati che si sono dimostrati contrari a questa decisione sono stati espulsi, e le associazioni con le reminiscenze totalitarie sono naturali.

Le più importanti istituzioni internazionali a partire dalla UE, Delegazione dell’UE a Tirana, Dipartimento di Stato dell’USA, tutte le ambasciate straniere presenti nel paese hanno condannato fortemente tale decisione e si sono dissociati argomentando come questi metodi siano una mina ai pilastri fondanti di una vera democrazia. L’esercizio della politica richiede inevitabilmente un approccio etico e questo a sua volta richiede l’adempimento della responsabilità. Il venire meno da questo significa che questa non è più politica ma attività tribale molto diffusa nella cultura albanese. Alcuni partiti si comportano come tribù e non come istituzioni degne di un paese che aspira l’entrata nell’UE.

La mancanza della responsabilità in questo caso è duplice: da una parte non si rispetta l’istituzione e dall’altra non si rispetta la volontà degli elettori che hanno votati i loro rappresentanti in parlamento. Il boicottaggio definitivo del parlamento crea un precedente pericoloso per il futuro della democrazia in Albania perché nel futuro, in qualsiasi momento di un conflitto politico, l’opposizione potrebbe decidere di dimettersi in blocco dal parlamento suscitando così delle crisi ripetitive e di conseguenza l’ingovernabilità di un paese dalla fragile tradizione democratica. Pare, dunque, che i capi dell’opposizione abbiano rinunciato chiaramente al ruolo fondamentale che l’opposizione ha per un paese: essere l’anima critica del governo e assicurare la posizione critica nei suoi confronti. La scelta dell’opposizione di chiamare i suoi sostenitori in piazza è messa in discussione dall’incitamento alla violenza che poi si è concretizzata nell’attacco contro la sede del Consiglio dei Ministri, atto fortemente condannato dalle istituzioni internazionali. 

Gli accenni dei capi dell’opposizione sull’ “imprevedibilità della folla” e delle loro azioni; i riferimenti ai tristi fatti dell’anno 1997 – durante questi disordini morirono 4000 persone – e ad un suo eventuale ritorno, sono il ritornello preferito degli opinionisti chiaramente schierati che si dilettano a paragonare l’Albania alla Siria, predicando invasioni massicce di profughi albanesi verso l’Italia. Questo non solo non è vero ma danneggia l’immagine dell’Albania alla vigilia dei negoziati per adesione nell’UE. Gli albanesi possono andare in Italia senza visto e richiamare scenari apocalittici di navi che poterebbero approdare sulle coste pugliesi nel 2019 è assurdo e abbastanza ingenuo, se non perfido! Gli attacchi fisici continui contro il Primo Ministro in parlamento sono il segnale evidente della trasformazione del linguaggio violento in atti violenti. Recentemente ci sono stati degli scenari vergognosi che calpestano la dignità delle istituzioni e l’immagine dell’Albania agli occhi del mondo. 

Un altro motivo per questo richiamo alla violenza e l’abbandono delle istituzioni, a parere di molto intellettuali albanesi, potrebbero esprimere la volontà dei capi dell’opposizione a ostacolare la riforma in atto del sistema giudiziario. Da due anni, con l’aiuto dell’UE e USA, è in corso una profonda riforma della giustizia che potrebbe dare via alle indagini sulla corruzione anche nelle fila dei politici. Non è un caso che lo sdegno che alcuni rappresentanti dell’opposizione dimostrano contro i rappresentati della delegazione dell’UE e dell’OSCSE.

Dunque, penso che la scelta migliore per i seguaci dell’opposizione e per il paese è l’adempimento della responsabilità istituzionale di accedere alle istituzioni e di non seguire i cattivi maestri che tanti danni hanno recato alla cultura istituzionale in Albania.  A. De Tocqueville diceva dei cattivi maestri: «Penso che gli arrivisti delle democrazie siano quelli che si preoccupano meno di tutti gli altri del futuro: soltanto il momento attuale li preoccupa e li assorbe. Essi (…) amano il successo più che la gloria. Ciò che desiderano soprattutto è l’obbedienza. Ciò che vogliono soprattutto è dominare».

*Albert Nikolla è professore di antropologia culturale ed etica all’Università di Durazzo

Scritto da Redazione

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