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Il dramma epocale delle migrazioni ad una svolta per l’Europa

 

di Mimmo Rizzuti*

La scelta dirompente della Germania e di Angela Merkel muove nella direzione giusta, pur impattando con un contraddittorio e complicato scenario Europeo e con un ancor più complicato scenario geopolitico che investe interessi contrastanti delle potenze mondiali in tutta l’area che va dalle sponde meridionali del Mediterraneo al Sahel e al Corno d’Africa, all’Africa nel suo insieme e dalla penisola arabica all’Hindu Kush. Il problema adesso è capire se, con la decisiva svolta tedesca, si creeranno per l’Europa le condizioni  per aggredire le cause recenti e remote di un fenomeno che, come è chiaro a tutti, ha dimensioni, portata e durata incalcolabili. E quale direttrice di marcia si sceglierà per provare a rimuoverle evitando nuove guerre  da sommare a quelle devastanti già in corso.

La storia dei rapporti tra gli Stati Europei e l’Africa è segnata, come noto, già da prima della sottomissione coloniale dell’Africa, da processi e percorsi di inaudita violenza sfociati nella tratta atlantica degli schiavi (XV-XIX secolo). Deportazione stimata di circa dodici milioni di uomini donne e bambini cui aggiungere oltre due milioni di morti. Giusto per memoria e per aver più chiaro ciò che avviene oggi,  è utile tener presente che, dalla fine del colonialismo , le potenze europee tutte, al dli là delle diverse matrici politico-culturali, hanno continuato a controllare la politica del continente africano e la sua economia, riempiendo d’armi dittatori interessati prevalentemente, quando non solo, ad arricchirsi personalmente  attraverso contratti con compagnie e stati ex coloniali, tagliati su misura  degli interessi di questi ultimi e comprensivi, naturalmente, della devastazione dei loro territori e della presenza dominante delle grandi multinazionali e dei loro modelli di sviluppo. 

L’accordo anglo-francese  ( 1915-16)  Sykes – Picot, la conseguente divisione dell’Impero ottomano e le modalità con cui fu operata dalle  potenze europee che, come noto, “si accordarono tra loro sul modo in cui spartirsi quei territori e sulla forma da dare agli Stati sorti dalle ceneri dell’impero caduto senza la minima consultazione delle popolazioni e delle élite locali”, è indubbio che sia la matrice dell’attuale cataclisma che investe l’ex medio oriente. Su di essa, poi, si sonno innestati gli urti geopolitici successivi  delle grandi potenze per la difesa e l’ampliamento delle rispettive posizioni nell’area, dando vita, dopo l’89, alla tragica sequenza di guerre fomentate dalle politiche di potenza americane, nell’assenza e/o subalternità dell’Europa. [ Prima guerra del Golfo (1991) Escalation di W Bush, Guerra Afganistan (2001) seconda guerra del Golfo (2003) Il tutto in un quadro da decenni attraversato dalla polveriera nota come “ questione palestinese” che troppo spesso si tende ad occultare e a minimizzare] . E questo, giusto per restare  a quanto determinatosi nell’ultimo secolo. 

Se si aggiunge, poi, che tutta l’immensa area  tra Nord Africa ed Asia centro occidentale si presenta oggi come una distesa di territori infiniti e  frammentati, in cui è difficile vedere delinearsi processi di ricomposizione robusti, il quadro esprime uno scenario dalle prospettive dominate da una instabilità di lungo periodo densa, di nubi gonfie di tempeste. Eppure in questi territori nella seconda metà del 900 ed in particolare nell’ultimo quarto di secolo, si è attivata una dinamica complessa, messa in moto da fattori diversi (demografia, concentrazione urbana, migrazioni ed esposizioni allo stile di vita occidentale, emersione di una nuova gioventù frustrata nelle sue aspettative di benessere e protagonismo ma, spesso, tutt’altro che rassegnata).

Da qui, nel passaggio del millennio, è emerso un fiorire di posizioni, gruppi e sigle jiadiste, movimenti anche di massa,  palesi e sotterranei , sociali, politici , culturali, economici  e religiosi che hanno intaccato strutture secolari, rotto quietismi ,aperto nuove dinamiche nello stesso mondo religioso. Da questo frullatore nel 2011 sono fuoriuscite anche  le “ primavere arabe(in occidente,  troppo velocemente e superficialmente archiviate o trasformate in autunni o inverni)   che mettevano in discussione assetti di potere ossificati, rapporti sociali inaccettabili e rivendicavano prima di tutto dignità e diritti.

Contro di esse si è mosso, con tutta la potenza dei petrodollari, il fronte controrivoluzionario centrato sull’Arabia Saudita ed i suoi satelliti, sostenuto dai loro tradizionali alleati occidentali e ben visto persino da Israele che ha generato, a suon di dollari e di armamenti,   da una parte la reazione furiosa dei generali e il ripristino  delle dittature abbattute (Egitto), dall’altra la galassia Jiadista,  in tanta parte sfuggita di mano e precipitata in DAESH. Ma, se è vero che quel sommovimento sorgeva dai problemi sopra appena accennati, la sua spinta propulsiva è tutt’altro che esaurita. Ed a quei problemi ed a quelle dinamiche bisogna prestare attenzione se si vogliono cercare e sostenere  percorsi, certamente lunghi e difficili, di ricomposizione di una area immensa , oggi in piena eruzione e frammentazione.

Chi deve muoversi?, Come e da dove partire? 

E qui il problema diventa ancor più complesso. E’ indubbio che il ruolo predominante sia elle mani delle grandi potenze mondiali e regionali, dei singoli Stati e delle loro Multinazionali.

Ma non basta e non sono solo loro a fare la storia.

Quando processi di lungo periodo arrivano a maturazione basta una foto, una marcia, un urlo corale e la storia cambia verso. Così è successo sempre ed è successo in questi giorni in Europa difronte allo straripare dell’onda d’urto di milioni di persone in fuga da guerre, violenze, miseria, fame. 

Ma anche questa svolta può assumere segno e propulsione diverse a seconda che nel suo corso si inserisca l’intervento di quella che noi indichiamo come società civile, lo sviluppo e l’alimentazione della cultura e della conoscenza dell’altro, della sua storia. 

Per questo credo che oggi più che mai il ruolo dell’associazionismo culturale, sociale e politico, dei sindacati, dei movimenti impegnati sul fronte dei diritti, del lavoro, della difesa della dignità delle persone   e della solidarietà sia fondamentale, più che mai.

Per questo credo sia, per noi, di grande significato riprendere il percorso tracciato al Forum sociale di Tunisi del Marzo scorso e precisato a Messina nel successivo Giugno (progetto Averroè “Erasmus Mediterraneo”; strutturazione di un progetto di scambio  culturale italo-tunisino, rilancio delle proposte contenute nell’appello di Messina, avvio costruzione del Forum permanente “L’Uliveto”, agorà del mediterraneo, partendo da acqua, agricoltura, cittadinanza, abitare, vita, riaffrontare il nodo del partenariato Europa-Mediterraneo del Sud, ripartendo dal processo di Barcellona 95,lavorare alla costituzione di un forum permanente delle città del Mediterraneo).

*(www.sinistraeuromediterranea.it)

 

 

Scritto da Redazione

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