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Il pacchetto per il lavoro di Letta è solo uno spot

A me sembra che il pacchetto per il lavoro presentato dal governo Letta costituisca l’ennesima presa per i fondelli per i giovani italiani. Cercherò di dimostrarlo con alcuni numeri, inquietanti quanto significativi, e con un ragionamento semplicissimo che chiunque, volendo, potrebbe fare.

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat, il tasso di disoccupazione generale ha toccato a maggio la quota record del 12,2%, 3 milioni 140 mila persone, il massimo storico dal 1977. Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, nella fascia compresa tra i 15 ed i 24 anni, la percentuale sale fino al 39%, poco sotto quella che si registra in Portogallo.

Scendiamo nel Mezzogiorno. Qui le cifre sono davvero da capogiro. Il tasso di disoccupazione generale è al 17,2%, mentre quella giovanile è ormai intorno al 50%, ai livelli di quella greca e spagnola.

Manca il dato disaggregato dei disoccupati con oltre trent’anni di età, la fascia che il pacchetto Letta non ha nemmeno preso in considerazione: oltre un milione e mezzo di persone, destinate ad aumentare per effetto della grave crisi economica che sta sconvolgendo il paese.

Bene, con queste cifre alla mano qual è la valutazione che possiamo dare delle misure appena varate dal governo? Entriamo nel merito. Le risorse messe a disposizione sono  1,5 miliardi di euro, di cui 794 milioni  (500 milioni per le regioni del Mezzogiorno e 294 milioni per tutte le altre) andranno a sostenere gli sgravi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 30 al Sud e al centro-nord. Il resto dovrebbero andare a bonus per neolaureati ed a misure di contrasto della povertà.

Ma questi 800 milioni di euro circa saranno immediatamente disponibili? No. Saranno spalmati nel quadriennio 2013-2016. Dei 500 milioni per il Sud, 100 saranno disponibili per il 2013, 150 per il 2014, 150 per il 2015 e 100 per il 2016. I restanti 294 milioni, quelli previsti per il centro-nord, saranno erogati nella misura di 48 milioni quest’anno, 98 nel 2015, 50 nel 2016.

Per quanto riguarda gli incentivi alle assunzioni, i beneficiari dovrebbero trovarsi in una di queste condizioni: essere disoccupati da almeno sei mesi, non avere una qualifica di scuola superiore o qualifica professionale, vivere soli o con persone a carico.

Secondo i calcoli del governo queste misure dovrebbero portare alla creazione di 200.000 nuovi posti di lavoro. E’ plausibile? E poi: sarebbe un risultato sufficiente?

Ragioniamo un po’. Con un paese nelle condizioni in cui si trova l’Italia adesso, quando sarebbero necessari stimoli all’economia di una certa rilevanza, misure straordinarie di sostegno all’occupazione e interventi consistenti per il rilancio dei consumi, secondo voi può bastare una manciata di milioni di euro,  dei quali una parte derivante dalla riprogrammazione di fondi europei già stanziati, spalmata peraltro su un arco di tempo di tre anni, per evitare la catastrofe sociale e la rovina del nostro sistema produttivo?

Senza affrontare il tema, pure discutibile, dei criteri stabiliti per l’accesso ai benefici e quello, non meno grave, dell’esclusione dalla platea dei beneficiari dei “giovani” ultratrentenni, ultraquarantenni, davvero possiamo pensare che la funzione dello Stato in un momento come questo possa esaurirsi in politiche di piccolo cabotaggio come queste?

Per avere un ordine di grandezza delle misure appena varate basta osservare che le stesse valgono lo 0,0625% del nostro Pil e lo 0,1 della nostra spesa pubblica! Si pensi, per integrare l’osservazione, che gli Stati Uniti di Obama, per dare un po’ di ossigeno all’economia dopo la grave crisi del 2007-2008, hanno stanziato, che pure era poco ed insufficiente, 800 miliardi di dollari, che corrispondeva al 2% della loro spesa statale complessiva.

Il problema però è che loro sono in America e noi in Europa. Con tutto ciò che comporta per noi l’appartenenza alla Ue ed all’Eurozona. Tuttavia, in America come in Europa, non ci sono alternative allo stimolo fiscale per contrastare le crisi, soprattutto quando queste diventano di tipo depressivo. E per stimolo fiscale si intendono incrementi temporanei della spesa pubblica e, contestualmente, riduzione delle imposte, per incrementare la domanda e rilanciare l’occupazione.

Da noi, in assenza di una banca centrale che possa stampare moneta, per fare queste cose c’è una sola strada: sforare il tetto del 3% del deficit. Un’eresia? Non credo. Anche perché tra non molto potremmo trovarci nello strano paradosso, che già i greci stanno vivendo, di avere i conti a posto e la pancia vuota, letteralmente.

In ogni caso sarebbe bene che se ne discutesse!

 

di Luigi Pandolfi

 

pubblicato anche su: Huffington Post.it

Scritto da Redazione

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