Home / Mondo / La guerra in Siria nella prospettiva mediorientale: ricerca sui media di Libano, Arabia Saudita, Iran e Israele

La guerra in Siria nella prospettiva mediorientale: ricerca sui media di Libano, Arabia Saudita, Iran e Israele

La guerra in Siria è stata sinora presentata in maniera relativamente omogenea dai media occidentali. Nell’area mediorientale si nota invece una grande varietà di prospettive ed opinioni, talvolta fortemente divergenti ed inconciliabili tra loro. La ricerca contenuta nel Paper si è concentrata su Libano, Arabia Saudita, Iran ed Israele: paesi chiave dell’area, in quanto più o meno direttamente coinvolti nel

conflitto. Si è scelto di fornire per ciascun paese un quadro storico-politico, una panoramica sui media e infine, nelle sezioni “giornali” e “televisioni”, l’analisi dei contenuti relativi alla situazione siriana (sino al gennaio 2014). Gli articoli sono presentati attraverso abstract e citazioni del testo originale. In alcuni casi si sono allegate vignette ad ulteriore esemplificazione dell’approccio della testata. Una tabella con i nomi dei media complessivamente presi in analisi è presente nel capitolo introduttivo. Si ricorda che le principali fonti utilizzate per la presenza di traduzioni di articoli sono il Middle East Media Research Institute, la piattaforma web Al-Monitor, il database di Worldmeets.US, il sito italiano Arabpress ed il centro studi Arab media Report. La ricerca inoltre ha talora fatto riferimento al contributo di lavori sia accademici sia di istituti privati. Seppure la metodologia e gli strumenti a disposizione inevitabilmente hanno condotto ad una rappresentazione parziale, lungi dal proposito di stabilire generalizzazioni si è però potuto individuare alcuni trends.

Si riporta di seguito un estremo riassunto per paese. 

A proposito del Libano si è rilevata anzitutto un’elevata eterogeneità dipensiero sulla guerra in Siria. Ciò è in primis dovuto alla presenza di vari gruppi religiosi, che rispetto alla guerra hanno opinioni diverse, alle volte profondamente.

Come recipienti a tenuta stagna, talvolta i giornali veicolano le opinioni di gruppi acui fanno riferimento. Spesso è stato facile individuare il partito/coalizione a cui i media sono vicini se non addirittura aperti sostenitori. Lo studio The Role of The

Media in a Precarious Plural Democracy: The Case of Lebanon (2013) di M. Fawaz, ripreso più volte, illustra bene la politicizzazione dei media. Alcuni spesso risultano allineati o in forte similitudine con quelli occidentali, tra questi: The Daily

Star Lebanon, L’Orient Le Jour, An Nahar, Al Mustaqbal Newspaper, Ya Libnan, Al Hayat. Si tratta di quotidiani più o meno vicini alla Coalizione 14 Marzo, accomunati dalla condanna al regime di Assad. La pluralità all’interno di questo gruppo può essere esemplificata dalla diversa opinione rispetto all’intervento militare statunitense. L’Orient Le Jour ha commentato duramente la scelta di rimandare da

parte di Obama: “[i siriani sono] vittime del cinismo di chi mostra i muscoli, ma non ha intenzione di usarlii. Al fronte opposto non si trova, invece, omogeneità. Il sostegno alla Coalizione 8 Marzo, di cui fa parte il partito di Hezbollah (direttamente coinvolto nel conflitto), è un trampolino di lancio comune per poi prendere direzioni proprie. Al Manar, canale gestito da Hezbollah, è tra i più sbilanciati a favore di Assad. Al Akhbar, seppur considerato vicino ad Hezbollah, ha una vena progressista e vi convivono posizioni sottilmente pro e contro il governo siriano. La testata As Safir è, invece, un esempio di ripensamento: dai toni morbidi verso Assad, fino a riconoscerne la colpevolezza in un’ottica nostalgica. Accanto ai due gruppi di testate di cui si riesce a cogliere un orientamento, vi sono testate generalmente imparziali nella narrazione, che si sbilanciano solo in relazione a determinate issues. Dal punto di vista televisivo si è visto che il canale Future – legato all’omonimo partito- e Al Manar si trovano in posizioni praticamente opposte sia nello spettro politico libanese sia nella visione della guerra in Siria. Vale la pena ricordare, infine, che il direttore della neonata tv Al Mayadeen avrebbe lasciato Al Jazeera per mancanza di obiettività della rete nel raccontare proprio il conflitto siriano

L’Arabia Saudita, in quanto inserita nel contesto di una monarchia assoluta che non garantisce la libertà di stampa, ha un ventaglio di opinioni drasticamente ridotto. Che sia per scelta o per legge, i quotidiani esprimono posizioni tendenzialmente speculari alla politica di governo, a sua volta riflesso di una conflittualità storico-religiosa con la Siria, da sempre vicina al nemico Iran.

Dall’analisi dei media sauditi è emersa una particolare avversione per la posizione russa nel conflitto (il Ministro degli Esteri Lavrov è stato definito anche “avvocato del diavolo”). Giornali come Al Watan, Al Hayat, Okaz, Al-Asharq Al-Awsat sono facilmente riconducibili alla famiglia reale, tutti gli altri comunque passano sotto il controllo governativo. Il linguaggio riscontrato è di frequente colorito, talvolta con marcature grottesche soprattutto riferite ad Assad. Tra queste: un cancro che necessita di chemioterapia, un leone a cui bisogna tagliare la criniera, un assassino di massa al pari di Pol Pot, Hitler e Stalin. Non si risparmia nemmeno la comunità internazionale – accusata di inerzia- né la “madre America dura d’orecchi”. Su alcune testate compaiono anche temi non al centro dell’agenda mediatica globale: il problema dei giovani sauditi che si uniscono alla jihad siriana, il viaggio in Siria del Patriarca Maronita Al-Rahi, per citare degli esempi. Sul piano televisivo spicca certamente Al Arabiya, che si sta imponendo come canale panarabo rivale della più nota Al Jazeera.

Al Arabiya ha rotto il tabù dell’attacco personale, peraltro mandando in onda email personali di Assad diffuse dagli hacker di opposizione o, ancora, facendo endorsement al re Abdullah per la condanna del presidente siriano.

Anche l’Iran rappresenta un contesto che risente della pervasività della politica, in questo caso soprattutto di matrice religiosa. L’alleanza tra la teocrazia pan-islamica iraniana e la secolarizzata repubblica siriana è primariamente difensiva e determinata da comuni nemici. Sono ripetute nel paese le violazioni della libertà di stampa e ciò influisce sulla narrazione della guerra. Nell’ambito di una narrativa prevalentemente a sostegno di Assad, si notano sfumature di pensiero e stili diversi. Il Teheran Times sceglie una linea di difesa e di sdrammatizzazione degli eventi, spostando talvolta l’asse dell’attenzione su altri conflitti. L’antiamericanismo della testata è evidente, l’intervento militare è considerato un inganno frutto di un cieco unilateralismo, da contrastare con valori di tolleranza e di diversità culturale. Kayhantra i più conservatori, insiste sull’esasperazione del bellicismo di Usa e Israele, e fa commenti su aspetti militari che favorirebbero la Siria in un conflitto a larga scala. Jomhouri-e Eslami ha una linea meno esplicita e più pacata. Sharq, pur senza sbilanciarsi, ha riconosciuto delle responsabilità di Assad, ad esempio per la violazione del cessate il fuoco nell’aprile 2012. Ancora, il quotidiano riformista Mardom Salari si è distinto, all’inizio del conflitto, per la posizione di comprensione delle proteste, ma in una prospettiva moderata e di invito al governo di Assad a trovare una soluzione garante dei diritti dei cittadini. Sulla questione delle armi chimiche si è visto che alcuni media hanno difeso a spada tratta il presidente siriano.

Le due televisioni iraniane analizzate sono Press TV e Al Alam, entrambe soggette ad oscuramenti in Occidente. La prima, più nota, è secondo alcuni commentatori specchio della retorica assadiana, mentre altri la considerano più bilanciata. Si può ricordare la riflessione critica del canale sui paesi occidentali, i quali “hanno dimenticato che hanno fornito le loro armi ai militanti in Siria e i terroristi hanno aperto il fuoco sui loro compagni cristiani con le loro stesse armi”. Rilevanti sono certamente lo scoop della CNN sulla presunta interferenza di Assad nelle reti iraniane e la smentitaii degli imputati confermata da una ex giornalista della stessa CNN.

All’opposto dell’Iran, lo stato di Israele si trova in una situazione di congelamento dei rapporti con la Siria, a seguito dell’occupazione israeliana delle Alture del Golan. La posizione anomala di Israele nel mondo arabo e il turbamento rispetto alle rivolte arabe rende peculiare anche la posizione dei media rispetto al conflitto siriano. Lo stato della libertà di stampa, seppure migliore di Arabia Saudita ed Iran, non è comunque del tutto rassicurante, secondo l’ultimo rapporto di Freedom House. Tra le testate emerge certamente Haaretz, per il singolare posto che occupa nella società: orientata a sinistra e attenta alla causa palestinese. Coabitano nel giornale opinioni talvolta discordanti, comunque ciò non toglie l’univoca condanna ad Assad, senza appello e colorita (ad esempio, polemizzando su quale fosse “la linea rossa che se superata fa dire al mondo ‘basta’” o ancora quale potesse essere “il tasso di cambio per il sangue di differenti nazionalità”). All’interno di Hareetz degli altri media la questione dell’intervento esterno è variamente considerata. Anche il centrista Yediot Aharonot oscilla sul tema dell’interventismo nella guerra in Siria (tra le opinioni quella secondo cui al superamento di certi limiti servirà “una risposta israeliana feroce e intransigente”). Alcuni media hanno posto l’attenzione su aspetti piuttosto inediti per i giornali europei. Il Jerusalem Post, considerato “rivale” di Hareetz, ha fatto, tra le considerazioni, quella secondo cui il massacro di palestinesi e cristiani in Siria sarebbe di basso interesse internazionale, poiché “quando la persecuzione contro i palestinesi e i cristiani non proviene dagli ebrei, non importa a nessuno”. Circa le televisioni, si noti che la rete più popolare, Channel 2, con l’invio sotto copertura di due suoi giornalisti in Siria è diventata attore direttamente coinvolto nel conflitto siriano, poiché Assad ha utilizzato il loro report a fini di propaganda anti-ribelli.

Il giornalismo di guerra analizzato presenta dunque un’estrema varietà di componenti, spesso peculiari di un solo punto (/Paese) d’osservazione o addirittura di un solo medium. Si è riscontrato che, sebbene vi siano argomenti del conflitto siriano al centro dell’attenzione di tutti i media incontrati (l’intervento militare USA, ad esempio), ciascun Paese (e, a volte, medium) segue una propria agenda settingSebbene la polarizzazione del Medio Oriente sia tutt’altro che una novità, il focus sull’informazione circa la guerra in Siria rappresenta un’inusuale focalizzazione sulle maglie di un intreccio all’apparenza inestricabile.

di Giulia Palestini – Archiviodisarmo

Leggi lo studio completo

Scritto da Redazione

Ti potrebbe interessare

ANNULLARE LE ACCUSE CONTRO JULIAN ASSANGE – FIRMA L’APPELLO DI AMNESTY

 L’ALTA CORTE DI LONDRA HA ACCOLTO IL RICORSO DEGLI STATI UNITI: JULIAN ASSANGE POTRÀ ESSERE …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.